La differenza tra un sistema che funziona e uno che va a rotoli sta tutta nelle idee e nei punti fermi. Quello che va a rotoli, inutile dirlo, è il nostro, che funziona alla grande – anche se “non riproducibile” – è quello di Hong Kong che ha chiuso la stagione 2012-2013 segnando il record delle scommesse. In 83 convegni i circa 7 milioni di abitanti di Hong Kong hanno scommesso 93,9 miliardi di dollari (9,1 miliardi di euro), in pratica, l’equivalente di 1.300 euro. Se tutti i 60 milioni di italiani avessero giocato la stessa cifra il nostro movimento scommesse sarebbe di 78 miliardi di euro… Questo giochetto manda in tilt le calcolatrici e ci porta sul pianeta PaPalla. Meglio rimanere con i piedi per terra e analizzare i risultati di Hong Kong, cercando di imparare almeno qualche capitolo della lezione. Il primo dato da registrare, come ha detto il direttore delle corse dell’Hong Kong Jockey Club Bill Nader in un ‘ottima intervista al TDN, è il nuovo record di scommesse, che ha suparato quello precedente, stabilito nella stagione 1996/1997 (92,3 miliardi). Soprattutto è impressionante come l’HKJC ha recuperato dopo la crisi del decennio scorso. Le scommesse erano scese fino a 60 miliardi nella stagione 2005/2006, in sette anni hanno recuperato oltre il 50% pur partendo da dati molto forti. L’HKJC applica all’estremo le regole per un buon funzionamento del totalizzatore, anche se il prelievo è piuttosto alto, attraverso meccanismi di rimborso delle scommesse perdenti che permettono di “tenere” in gioco al massimo i soldi e sfruttano ogni singolo dollaro. Tradotto in termini volgari: un signore di Hong Kong che va alle corse con in tasca l’equivalente di 1.000 euro sviluppa un movimento almeno quattro volte superiore a quello di un signore di Milano che va in un ippodromo o in un’agenzia italiana. Un altro grande esempio che viene dal sistema Hong Kong è quello della distribuzione delle scommesse. L’85 per cento del movimento ruota intorno a vincente, piazzato, accoppiata e accoppiata piazzata, lasciando alle scommesse “super esotiche”, quelle che congelando di più il denaro, una fetta relativamente piccola del mercato. Abbiamo semplificato volutamente, il funzionamento di un sistema scommesse è molto più complesso e merita un trattamento più specialistico. A grandi linee possiamo dire che Hong Kong riesce a spremere il massimo da ogni dollaro – da ogni scommettitore – e questo è il dato più importante. Il denaro degli scommettitori di Hong Kong entrerà in un vicino futuro anche nei vari totalizzatori nazionali per le corse estere (circa il 3% del movimento) e sarà interessante vedere come reagiranno le diverse realtà a un volume di scommesse molto forte. Il sistema, però, funziona per altre ragioni. La prima è l’appetibilità delle corse. Quelle di Hong Kong hanno una media partenti quasi ideale (12,6) e un buon mix tra i rompicapo e le corse di più semplice lettura (anche da loro ci sono i cavalli che scappano agli handicapper). La grande sfida vinta dall’HKJC è quella dell’immagine delle corse, sempre più il primo sport nazionale. Possedere un cavallo è un segno di distinzione e Nader ha rivelato una cifra impressionante. In giugno sono stati assegnati i permessi di importazione per nuovi cavalli. Le domande presentate dai soci dell’Hong Kong Jockey Club (per avere cavalli bisogna essere soci del Club) sono state 1.100 per 300 permessi disponbili. In pratica 800 signori che si erano detti disposti a spendere fra i 300.000 e i 500.000 euro (il prezzo di un discreto cavallo per il circuito di Hong Kong) hanno ricevuto un gentile diniego. Aspetti e ritenti la prossima volta. Da segnalare anche che, per regolamento, ogni proprietario può avere solo quattro cavalli, comproprietà comprese. I due ippodromi di Hong Kong sono dei gioielli ma non bastano. E’ per questo che l’HKJC ha deciso di investire nel Racecourse Master Plan, un progetto di rinnovamento che in paio d’anni trasformerà i due impianti, rendendoli ancora più lussuosi. “ I nostri ristoranti e i servizi di accoglienza” sono al massimo standard di Hong Kong” ha detto fiero Nader. Come e perché funziona il sistema Hong Kong. Sarebbe un bel tema di studio per i dirigenti – se ce ne fossero – dell’ippica italiana. Abbiamo detto che si tratta di un modello non riproducibile, ma qualcosa possiamo pure imparare. Ad esempio, alla fine della sua intervista, Nader ci ricorda che l’Hong Kong Jockey Club deve farsi bastare il 4,4 per cento del movimento scommesse per i premi e i costi operativi. Tradotto in soldoni sono circa 400 milioni di euro.
fonte: SGA da Il Purosangue